Siamo una testata piuttosto attenta al mondo dei social e in quanto tale sfruttiamo l’ondata mediatica del caso Shilling – noto locale e ristorante di Ostia Lido, a Roma – per parlare di una spiacevole tendenza sempre più frequente nel mondo social: quello degli haters.
“Noi pensiamo che sia più utile dedicare il tempo a quello che ci piace invece di commentare quello che non ci piace. Perché ciò che non ci piace, va semplicemente ignorato”.
Il caso
Il primo maggio, in Piazzale Cristoforo Colombo ad Ostia, tre ragazze romane si sono viste rifiutare all’ingresso dello Shilling da parte dello steward presente, il quale gestiva gli ingressi nel club.
Lo stesso steward, che faceva parte di una società esterna al locale, pare non abbia permesso alle ragazze di entrare in discoteca perché “poco scollate”. L’episodio, piuttosto grave e da condannare, ha però acceso un mare di polemiche proprio su Facebook ed Instagram.
“Abbiamo chiesto se per entrare bisognasse essere più scollate e hanno annuito”, ha dichiarato una delle ragazze coinvolte nell’accaduto. Le tre ragazze, infatti, sarebbero state fermate dal buttafuori sulla soglia dell’entrata del locale: “Non avete i requisiti fisici“, avrebbe detto alle tre, come ha raccontato a “il Messaggero” una studentessa al terzo anno di giurisprudenza. Le ragazze hanno poi voluto parlare con il gestore pretendendo le sue scuse che, chiaramente, sono arrivate. “Per noi la questione è finita così“, riporta una delle tre ragazze coinvolte.
E invece no.
A quanto pare a sollevare la bufera mediatica è stata la mamma di una delle ragazze la quale ha manifestato il proprio dissenso attraverso un gruppo Facebook di quartiere.
Il popolo del web è insorto contro lo storico club ostiense, accusandolo per l’evento accaduto e scatenando un putiferio mediatico.
La posizione dello Shilling
Lo Shilling ha immediatamente preso una posizione chiara, assumendosi le proprie responsabilità: “Il gesto dello steward è un atto di pura maleducazione che non rispecchia minimamente i nostri valori. Il fatto è increscioso e noi non ci tiriamo indietro dinanzi alle conseguenze che ne derivano. Quello che ci dispiace, è di non aver gestito direttamente noi la sicurezza del locale: ci siamo infatti affidati ad una società esperta ritenuta affidabile nel campo. A quanto pare, però, non è stato così. Quello che ne è scaturito non è avvenuto direttamente dai membri del nostro staff ma da personale esterno. Con questo non intendiamo fare da scarica barile, tutt’altro. Ci teniamo però a ribadire che condanniamo ogni forma di discriminazione e che tutto questo non rientra nel nostro stile così come nella nostra etica lavorativa”.
Tutto questo però, non è bastato.
Capitolo haters
Esprimere un dissenso, un disagio, avere un’opinione è un diritto di tutti. Insultare, diffamare, offendere, non è un diritto per nessuno.
Crediamo che – di contro – insultare chi nel locale ci lavora non possa aggiustare quello che è successo, che la diffamazione non possa alleviare il senso di frustrazione subito dalle ragazze, che la violenza delle parole non possa farci tornare indietro nel tempo per correggere gli eventi.
I social – nonostante facciano parte del nostro quotidiano – non sono la vita vera. E laddove un evento così poco nobile si era chiuso direttamente in loco con le scuse del gestore del locale alle ragazze, sui social, di contro, era appena cominciato.
Tutto ciò che è odio e diffamazione è tossico e negativo in qualunque contesto. L’insulto, è sbagliato a prescindere; perché un atto del genere non si risolve con ulteriore ignoranza, si risolve con il dialogo. Si risolve prendendo coscienza di quello che è successo per mettersi nelle condizioni che non accada mai più.
Esprimere un dissenso è sacrosanto, soprattutto in questo caso, ma lo stesso dissenso diventa violenza se comunicato in questo modo.
L’odio attira odio, l’ignoranza pure.
“Noi pensiamo che sia più utile dedicare il tempo a quello che ci piace invece di commentare quello che non ci piace. Perché ciò che non ci piace, va semplicemente ignorato”.
Noi pensiamo che lasciare un segno del proprio disprezzo non ti farà sentire meglio, tutt’altro.
Perché alimentare un argomento con l’odio finirà per intossicare anche te che di odio ti nutri. Perché finita una questione, ne cercherai un’altra e poi un’altra ancora. Perché se ci si comporta in questo modo, ci si prende l’etichetta di haters. E un hater, in realtà, è una persona vittima della sua stessa paura, della sua scarsa cultura, della sua mancanza di empatia, della sua fragilità.
E allora, per una volta, proviamo a mettere giù il telefono per un attimo.
Proviamo, ogni tanto, a tornare a dialogare, ad ascoltarci senza prevaricarci, senza riversare le proprie frustrazioni personali, sociali e ideologiche sul primo che capita.
Perché poi, alla fine, chiunque di noi può finire nel mirino degli haters.
Anche tu.
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