Nel primo semestre del 2023, il numero di nati in Italia sarà ancora inferiore al record negativo di 393.000 nati dell’anno scorso dopo il Covid. Da diversi anni, l’Italia registra più morti che nati. Negli anni ’60, il numero di nati superava il milione, ma nel 2008 si è registrato un forte calo, arrivando a 570.000 nati, e da allora ogni anno nascono sempre meno bambini.
Se le condizioni rimangono le stesse, con la produttività e la partecipazione al lavoro invariate, solo l’effetto demografico comporterebbe una perdita di PIL di 500 miliardi di euro in una ventina d’anni. Questo è particolarmente preoccupante considerando che il numero di ultra novantenni passerà dagli attuali 840.000 a 2,2 milioni, di cui circa 150.000 ultra centenari. In un paese del genere, è necessario trovare nuove risorse, considerando che la spesa sanitaria è particolarmente elevata.
È difficile immaginare un cambiamento immediato. Ad esempio, la Cina è passata da 30 milioni di nati a meno di 10 milioni, ma non è chiaro se riusciranno a invertire la tendenza. Ci sono anche elementi culturali da considerare. I 240.000 nati nel primo trimestre durante la seconda guerra mondiale e i 90.000 di oggi rappresentano il cambiamento avvenuto sotto diversi punti di vista. Dopo decenni di tendenza opposta, invertire la tendenza sarà difficile, ma non dobbiamo perdere la speranza perché è possibile.
Dobbiamo considerare in anticipo le dinamiche in atto e mettere a punto i correttivi necessari per gestirle. L’età anagrafica ha un impatto sugli equilibri sociali ed economici. Ci sono momenti per formarsi, essere produttivi e riposarsi. Se la popolazione anziana aumenta notevolmente, gli equilibri si alterano e si creano problemi. Questo ha anche un impatto sulla democrazia, poiché gli anziani hanno un peso maggiore nelle decisioni politiche. Essere un grande paese dipende anche dal numero della popolazione.
Nel 2070, si prevede che ci saranno 10,5 milioni di persone in età produttiva in meno rispetto ad oggi. Dobbiamo governare il cambiamento per attenuarne gli effetti. Alcuni suggeriscono di compensare con l’immigrazione, ma se vogliamo procedere in questo modo, avremmo bisogno di 531.000 immigrati netti ogni anno, il che richiede integrazione, lavoro e altro. L’immigrazione è importante, ma non risolve completamente il problema.
Dobbiamo considerare anche la questione delle risorse. Il passaggio da 800.000 ultra novantenni a oltre 2 milioni in una ventina d’anni è un cambiamento evidente. Ci saranno più anziani che avranno bisogno di aiuto esterno. Tuttavia, non è detto che le risorse per il welfare pubblico siano disponibili. Dovremmo immaginare nuovi equilibri che valorizzino le competenze e l’esperienza degli anziani, in cui la forza fisica non è necessaria.
Ci sono molte cause del crollo demografico, tra cui anche una questione culturale. La struttura della popolazione è un fattore importante. I 184.000 nati in meno rispetto al 2008 sono dovuti principalmente ai cambiamenti nella struttura della società femminile. Ci sono meno donne in età fertile. Oggi ci sono 12 milioni di donne in età fertile, ma tra 30-40 anni saranno solo 8 milioni. I figli comportano costi, impegni e rendono difficile la carriera e il lavoro. Se continuiamo con questi numeri, avremo una struttura estremamente fragile, a meno che ogni donna non faccia almeno 5 figli.
Il passaggio al secondo figlio è fondamentale. Dobbiamo fare esattamente il contrario di quello che la Cina ha fatto per ridurre la popolazione. Dobbiamo incoraggiare a fare figli prima, distanziati meno e cercare di averne un po’ di più. Attualmente, nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni, il rapporto tra coloro che vivono ancora con i genitori e coloro che hanno una famiglia autonoma è di 5 a 1. È necessario aiutare i giovani a lasciare il nido e creare le condizioni per scegliere di diventare genitori. Dobbiamo trasmettere il senso del rischio ai giovani e sostenere la genitorialità.
Siamo in una situazione critica da oltre 40 anni, ma solo ora il problema è riconosciuto e il governo è sensibile ad affrontarlo. Oltre all’aiuto economico, dobbiamo dare alle donne con figli la possibilità di realizzarsi nel lavoro. Dobbiamo tutti essere consapevoli che stiamo vivendo un’emergenza e che esiste una solidarietà. Dobbiamo coltivare la cultura che il capitale umano è nell’interesse collettivo, anche con un atteggiamento amichevole verso chi decide di avere figli.
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