Un uomo di 40 anni, Davide Macciocco, originario di Termoli ma nato a Zurigo, ha deciso di scegliere il suicidio assistito in Svizzera dopo aver trascorso gli ultimi 20 anni come tetraplegico su una sedia a rotelle. Macciocco ha comunicato la sua decisione attraverso un lungo post sui social media, qualche settimana dopo aver avuto avventure spericolate tra paracadute e mare. Nonostante il destino beffardo che lo ha colpito in seguito a un banale tuffo da 6 metri, Macciocco non ha mai rinunciato a divertirsi e sperimentare nuove avventure.
Ha scelto di andarsene per sempre attraverso l’eutanasia nelle cliniche della “dolce morte” di Zurigo, definendo la sua morte come un atto di “dignità”. Nel post su Facebook, Macciocco racconta il suo percorso di riabilitazione e la scoperta devastante di non poter più camminare. Nonostante ciò, ha continuato a vivere pienamente la sua vita, partecipando a numerose attività e sperimentando nuove esperienze. Tuttavia, a un certo punto, lo sconforto ha preso il sopravvento e ha deciso di rivolgersi alla clinica Dignitas nel maggio 2022 per un accompagnamento alla morte volontaria.
Secondo Macciocco, la vita è degna di essere vissuta solo quando si può godere di libertà fisica e mentale. Dipendere dagli altri per ogni gesto quotidiano è difficile e priva di libertà e autonomia. Questo è il motivo per cui ha scelto l’eutanasia. Nella sua lettera, Macciocco si rivolge anche alle istituzioni italiane, chiedendo che nessun provvedimento giudiziario venga preso contro coloro che lo hanno accompagnato nella sua scelta.
La storia di Macciocco ha suscitato una riflessione da parte del vescovo di Termoli, mons. Gianfranco De Luca. Il vescovo sottolinea che la vita è un dono e un compito che viene da Dio e che deve essere vissuto con dignità. La scelta di Macciocco solleva il problema della cura e dell’accompagnamento per coloro che vivono situazioni simili. La società secolarizzata in cui viviamo non aiuta e non sostiene queste persone, che spesso si trovano a lottare da sole. Il vescovo invita la società e la comunità cristiana a diventare una vera comunità di cura, dove si dia importanza alle relazioni interpersonali e si offra sostegno ai malati e alle loro famiglie.
La storia di Davide Macciocco interpella e provoca tutti a prendere sul serio la questione dell’assistenza e dell’accompagnamento per coloro che soffrono. È necessario promuovere strutture che sostengano i malati e le loro famiglie, offrendo loro speranza e fiducia.
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