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L’Iran e lo stretto di Hormuz, l’arma economica (della disperazione) in mano a Teheran

(Adnkronos) – La minaccia dell’Iran è esplicita: chiudere lo stretto di Hormuz come ritorsione per la guerra scatenata da Israele. Vorrebbe dire tagliare la rotta del petrolio, e anche del gas liquido, e causare danni per miliardi di dollari a tutta l’economia globale, colpendo soprattutto i paesi più dipendenti da quel 25% delle forniture di oro nero, un quarto di quello che circola a livello mondiale. Questo, considerando sia chi lo esporta sia chi lo importa, Italia inclusa.  

Teheran potrebbe ricorrere a un’arma economica che innescherebbe conseguenze immediate, facendo schizzare i prezzi dell’energia e i costi per il trasporto di qualsiasi merce, alimentando tensioni ulteriori sui mercati finanziari. Sarebbe però anche l’arma della disperazione, perché infliggerebbe danni anche all’Iran, che con le rotte commerciali che passano dallo stretto fa buoni affari da sempre.  

La carta geografica delinea con assoluta chiarezza l’area più colpita. Attraverso il corridoio fra Iran e Oman
, che collega il Golfo Persico con il Golfo dell’Oman e il Mar arabico, passa la maggior parte del petrolio e del Gnl esportato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Iraq, Qatar e dallo stesso Iran. In questo senso, la minaccia può essere un deterrente nei confronti dei Paesi arabi più ricchi, finora sostanzialmente neutrali di fronte alle operazioni militari di Israele.  

I numeri, invece, quantificano la portata del danno potenziale. Appena 33 chilometri nel punto più stretto, dallo Stretto di Hormuz, secondo la U.S. Energy Information Administration, nel 2024 sono passati in media 20 milioni di barili di greggio al giorno e il transito è stato cruciale per circa un quinto del commercio globale di Gnl, innanzitutto dal Qatar. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, lo Stretto di Hormuz è “la via d’uscita dal Golfo per circa il 25% delle forniture di petrolio a livello globale” e la sua “chiusura, anche per un tempo limitato, avrebbe un impatto importante sul mercato del petrolio e del gas”. 

L’altro rischio che si sta correndo è che lo stretto di Hormuz, anche se ancora aperto, diventi un passaggio troppo pericoloso. Come è avvenuto nel Mar Rosso con gli Houti, in passato non sono mancati casi di sequestri di petroliere da parte dei Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran iraniani. Proprio per questo, negli anni, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita hanno cercato senza particolare successo di trovare altre rotte per bypassare lo Stretto di Hormuz, anche con la costruzione di oleodotti. Un indicatore eloquente rispetto all’aumento del rischio è dato dai costi di assicurazione per le navi che devono attraversare lo stretto, che, come ha evidenziato il Financial Times in una recente analisi, sono saliti del 60% in una settimana, dall’inizio dell’offensiva israeliana. (Di Fabio Insenga)  

 

internazionale/esteri

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