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Epn, ematologa Frieri: “Con nuove cure orali efficacia e più autonomia”

(Adnkronos) – “L’esistenza di più opzioni terapeutiche per il trattamento dell’emoglobinuria parossistica notturna (Epn) consente una vera personalizzazione della cura, un aspetto cruciale in una patologia tanto eterogenea. Le diverse vie di somministrazione rappresentano un progresso significativo, in particolare quella orale: assumere una compressa anziché sottoporsi a infusioni endovenose in ospedale offre una maggiore libertà e autonomia, soprattutto per i pazienti giovani o attivi, e non solo semplifica la gestione quotidiana della malattia, ma consente anche di mantenere uno stile di vita più vicino alla normalità, permettendo ai pazienti di lavorare, studiare, viaggiare e persino partecipare a programmi come l’Erasmus, con parametri ematochimici buoni”. Così Camilla Frieri, Uoc Ematologia e Terapie cellulari avanzate, Aorn San Giuseppe Moscati di Avellino, commenta l’arrivo in Italia della prima terapia orale, un inibitore del Fattore B della via alternativa del complemento, per questa “malattia rara, complessa e potenzialmente invalidante, che si caratterizza principalmente per un’anemia emolitica cronica mediata dal sistema del complemento”. 

In questi pazienti, i globuli rossi vengono distrutti in modo anomalo dal sistema immunitario, “causando una riduzione dei livelli di emoglobina e, di conseguenza, i sintomi tipici dell’anemia” come la “fatigue – illustra Frieri – Accanto all’anemia, i pazienti possono andare incontro a complicanze severe, come trombosi in sedi atipiche, in particolare nel distretto splancnico e in quello cerebrale. Inoltre, la malattia può essere associata a un certo grado di insufficienza midollare, il che comporta la possibilità di piastrinopenia e leucopenia”, cioè una riduzione anche delle piastrine e dei globuli bianchi. “L’anemia rappresenta il sintomo principale e più invalidante dell’Epn – sottolinea la specialista – con ripercussioni profonde sulla qualità della vita. La maggior parte dei pazienti lamenta una sensazione persistente di stanchezza, spesso difficile da descrivere, che non migliora con il riposo. A questo si aggiungono sintomi come cefalea e dolori addominali, rendendo il quotidiano molto impegnativo”. 

Il panorama terapeutico dell’emoglobinuria parossistica notturna “è stato profondamente trasformato dal 2007 – spiega Frieri – grazie all’introduzione del primo inibitore del complemento, capace di bloccare la porzione terminale della cascata” di reazioni coinvolte nella risposta immunitaria. “Questo approccio ha rappresentato una vera rivoluzione, poiché ha permesso, per la prima volta, di interferire direttamente con il meccanismo alla base della malattia. Inibendo l’attivazione del complemento, si previene la distruzione dei globuli rossi, migliorando così i livelli di emoglobina nel sangue e riducendo in modo significativo le crisi emolitiche, l’anemia e gli altri sintomi ad essa correlata, come la fatigue”. 

Dal punto di vista dell’efficacia, “le nuove terapie hanno mostrato risultati molto promettenti, soprattutto grazie all’azione sugli stadi più precoci del complemento – chiarisce Frieri – In particolare, è stato possibile rispondere a un bisogno non soddisfatto: l’anemia residua dovuta all’emolisi extravascolare mediata da C3, che persisteva nonostante i trattamenti anti-C5”. In questi pazienti, circa un terzo, la nuova molecola orale che inibisce il Fattore B della via alternativa del complemento permette loro di raggiungere “valori di emoglobina normali, con un impatto positivo non solo clinico, ma anche soggettivo e funzionale. Uno dei parametri più utilizzati per misurare il miglioramento percepito dai pazienti è il Facit-Fatigue Score, un questionario validato che valuta l’impatto della stanchezza sulle attività quotidiane. I risultati dei trial clinici – rimarca la specialista – mostrano che i pazienti trattati con inibitori più recenti ottengono punteggi sempre più simili a quelli della popolazione sana, segnale evidente di una qualità della vita in netto miglioramento”. 

Oggi, conclude Frieri, “possiamo dire che l’Epn è una malattia rara per la quale esistono terapie efficaci, con la possibilità concreta di migliorare in modo significativo la vita dei pazienti. Non solo si riescono a controllare meglio i sintomi, ma si aprono nuove prospettive anche dal punto di vista psicologico e sociale, grazie alla possibilità di ritornare a una quotidianità più libera. Resta però fondamentale mantenere saldo il rapporto con il medico, che rappresenta il punto di riferimento essenziale per garantire sicurezza, continuità e attenzione a ogni cambiamento nel percorso terapeutico”. 

salute

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Fonte Esterna

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